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Barcamp

Nel bel mezzo dell’estate la riflessione che mi ronza in testa è sui barcamp e più in generale sugli eventi legati al mondo 2.0 vari ed eventuali.

Siamo sicuri che servano? Siamo sicuri che siano proficui in qualche modo?

Ricordo il mio primo barcamp, il RomeCamp del 2008, non conoscevo nessuno e neanche potevo immaginare che fosse organizzato da Elastic e Digital PR, visto che studiavo legge e non ne sapevo un H del Web 2.0, avevo messo su questo blog da pochi mesi ed avevo tanta voglia di imparare.
Ed è stato lì che ho incominciato ad affinare le mie competenze sia come blogger, sia come comunicatore. Il barcamp di Roma mi è servito tanto, lì ho cominciato a costruire la mia rete di contatti, da cui ho imparato, ho approfondito, ho letto tanto.
Ma ero all’inizio, non ero un addetto del settore, non sapevo quasi nulla.

Sono passati due anni e di barcamp, Ignite ecc.. ne ho visti molti, ne ho anche organizzato uno, servono ancora? Ok ora sarò un pò polemico e forse darò vita ad un flame, ma secondo me occorre riflettere su alcuni punti per evitare che i barcamp finiscano in una nuvola di fumo e nient’altro.

Uno degli ultimi barcamp a cui ho partecipato è stato il Media Camp a Perugia, in occasione dell’International Journalism Festival, la scena è stata questa:

Una sequela di ovvietà e di markette indescrivibile, l’unico intervento che ho apprezzato è stato quello di una donna di cui non ricordo il nome che lavora in Google.
La scena si ripete stancamente un barcamp dopo l’altro, il tabellone, i post-it e via con speech per illustrare l’ennesimo servizio web clone del clone (markette) oppure per tessere le lodi del web 2.0, settore in cui lavoriamo tutti, e che conosciamo a memoria, a che serve ripetere mille e mille volte cose ovvie per tutti?

E ancora, facendoci i conti in tasca, vale la pena affrontare magari ore di treno per arrivare ad un barcamp per poi parlare ad una platea di colleghi, fornitori e magari anche competitor, senza la possibilità di incontrare, neanche per sbaglio, un potenziale cliente con cui fare business o magari parlare di un contratto di fornitura?

Certo, i barcamp servono per rivedersi, fare chiacchiere, ma non stanno vivendo certamente il loro miglior periodo.

Ultimamente ho preso parte al VeneziaCamp, come tradizione, non lo manco mai, proprio perché ha un format differente da tutti gli altri, per prima cosa è un mosaico composto da aree espositive, un palco per gli speech, il Facebook Developer Garage.
Ma nonostante ciò è proprio quest’ultimo che mi ha deluso profondamente quest’anno: sono stati 3 gli speech che ho seguito, e tutti e tre vertevano sul nuovo protocollo Opengraph di Facebook, ripetendo che è stato introdotto il like per i siti/blog, il box delle ultime attività, insomma le novità riportate nella repository per developer di Facebook.
Una pagina di Facebook che alimenta 2 speech e mezzo di un barcamp, uguali, davanti ad una platea di sviluppatori e non certo di webmaster alle prime armi, interessati magari di più a come diventare la prossima Zynga e non a mettere il pulsantino “like” vicino ad un contenuto di un sito.
Quest’anno il Facebook Developer Garage ha patito anche la mancata “assistenza” da parte di Facebook stesso, che ne ha profondamente minato le basi.

Dal punto di vista d’agenzia, i barcamp, gli eventi satelliti, sono creati per autoproduzione e per poi vendere il format ad eventuali clienti interessati, il che avrebbe anche un senso, ma finchè i clienti non metteranno piede nel barcamp, ci sarà poco o nulla da vendere.

Questo potrebbe essere un nuovo punto di partenza, invitare “la clientela”: insieme alla lista dei bloggers/addetti ai lavori da invitare, insieme alla lista degli speech da chiedere ai vari personaggi noti, redigere anche una lista di possibili clienti da invitare formalmente via mail, una lista di una certa consistenza, per poter sperare in un buon numero di persone a cui poi vendere effettivamente qualcosa, a cui insegnare qualcosa, agli occhi dei quali sembrare la soluzione ultima alla loro diffidenza verso il mondo del web 2.0.

Non sarebbe più utile? i clienti sarebbero restii a partecipare? Bhè, insistere, spiegare.. comunicare l’importanza e soprattutto il valore di un barcamp.

Nella mia visione un pò avvilita dei barcamp, l’ultimo baluardo, che resisteva restituendo contenuto validissimo era il barcamp Innovatori PA, interessante, stimolante, fuori dallo schema vista anche la nicchia in cui si muove.
Nell’ultima edizione (in cui anche io ho fatto il mio intervento), ho avuto modo di organizzare, con Elastic, una sessione di Ignite, ed anche lì, immancabile, nonostante l’atmosfera sensibilmente più formale rispetto agli altri barcamp, la marchetta, fastidiosa, offtopic.. una perdita di tempo bella e buona.
A mettere su la marchetta più spudorata della storia c’ha pensato il solito Subioli che sta pubblicizzando la sua simil-startup in lungo ed in largo in maniera del tutto grottesca.
Il primo episodio delle marchette di Amelya l’abbiamo avuto durante le prime serate Ignite organizzate a Roma: prima serata, titolo dello speech era “Amelya”, la seconda serata il titolo diceva “Come il cloud computing ha cambiato la mia vita” riportando poi una serie di servizi web che non hanno nulla che fare con il clou computing e per finire poi con Amelya.

Questo fa capire anche che molte volte la qualità degli interventi rasenta il noioso o la pubblicità ingannevole, più o meno.

La svolta del barcamp deve essere data dagli organizzatori, la struttura, le persone, la comunicazione: coinvolgere più soggetti, clienti, farlo diventare un foro in cui incontrare altre persone, tornare finalmente a scambiare biglietti da visita e fare business, rivitalizzare il barcamp lato utente.

Con questo post non voglio pormi sul piedistallo con la verità rivelata, ma solo dare inizio ad una conversazione sull’argomento, coinvolgendo tutti quei soggetti che hanno in mente di organizzare il prossimo evento.


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