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24,5 miliardi di euro, più o meno l’1,6% del Pil nazionale. Numeri da capogiro per il business delle applicazioni in Italia, come testimoniano i dati forniti da un report pubblicato una settimana fa dall’ Osservatorio Mobile & App Economy del Politecnico di Milano. Un successo che deriva innanzitutto dalla diffusione virale del mobile, in primis dalla distribuzione ad un ampio target di device come smartphone e tablet.

Gli esperti dell’Ateneo meneghino hanno previsto che entro la fine del 2014 gli smartphone connessi alla Rete raggiungeranno l’astronomica quota di 45 milioni, mentre i tablet avvicineranno la soglia dei 12 milioni. Se poi andiamo ad analizzare che un utente su 3 ha scaricato applicazione a pagamento sul proprio smartphone e uno su 5 ha acquistato almeno un prodotto o servizio, le dimensioni del business sembrano assumere contorni biblici.

Il mercato delle app non dorme mai, perché la concorrenza tra sviluppatori e colossi della tecnologia non lascia spazio ai momenti di riflessione. La diretta conseguenza di questa spietata rivalità tra brand e nerd dell’informatica è la continua crescita nell’offerta dei contenuti.

Negli store digitali Apple e Android, per evidenziare i marchi più diffusi a livello planetario, sono disponibili oltre 2,5 milioni di app. Ce ne sono per tutti i gusti: alcune danno la possibilità di monitorare l’attività del proprio organismo (pressione del sangue, battiti cardiaci ecc.), altre permettono di ottenere informazioni sul traffico, sull’arrivo dei mezzi pubblici o sulle condizioni meteo, mentre blog e periodici diffondono in real time notizie per mantenere aggiornati gli utenti . E moltissime, come le room di Casinò online e betting games, consentono agli appassionati semplicemente di giocare nei momenti di relax o nei tediosi trasferimenti dal posto di lavoro alle proprie abitazioni. Ognuno di noi ha, in media, 33 app installate sullo smartphone e 32 sul tablet. Non a caso oltre l’80% di questo sconfinato business, ovvero circa 20 miliardi di euro, proviene proprio dai consumi diretti degli utenti e delle imprese.

Apple Android

Il fenomeno app non sembra destinato a fermarsi. L’equipe del Politecnico di Milano prevede che, nel prossimo biennio, il valore complessivo del mercato italiano raddoppierà, raggiungendo quota 50 miliardi già entro la metà del 2016. Parallelamente allo sviluppo delle classiche app verrà implementato il settore del “mobile proximity payment”, ossia dei pagamenti effettuati con smartphone e tablet, che nel 2016 dovrebbero valere circa 4 miliardi di euro. Alcuni servizi come PayPal, Skrill e Western Union hanno implementato questa tipologia di app, garantendo inoltre ai clienti un livello di sicurezza simile a quello delle banche reali.

In questo quadro apparentemente perfetto dal punto di vista dei consumi, è presente una macchia che interessa in prima persona il nostro Paese. Difatti, la produzione italiana di app è molto indietro rispetto ai competitors delle altre nazioni facenti parti della Comunità Europea.
I dati riportati dallo “Sizing the Eu App Economy”, condotto dalla società Gigaom Research su incarico della Commissione europea, parlano chiara: il Bel Paese produce una notevole quantità di app ma non riesce a vendere il suo prodotto al di fuori del mercato nazionale. Nella top 50 delle app più diffuse nel Vecchio Continente non compare neppure un nome made in Italy.
Nell’ultimo anno oltre la metà degli sviluppatori italiani(il 51%) che produce app rivolte ai consumatori e non soltanto al settore business, ha guadagnato uno stipendio medio leggermente inferiore alle mille euro, il 17% tra i mille e i 5mila euro, l’11% dai 5 ai 10mila euro, il 14% tra i 10 e i 50mila euro, solo il 7% più di 50mila euro. Un quadro che, a fronte di una miriade di sviluppatori, software house, content provider, palesa come solo una modesta percentuale di start-up ha realmente successo economico. Insomma, siamo grandi consumatori, ma i nostri sviluppatori sono, almeno sinora, tagliati fuori dallo scenario internazionale.


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